La fase 2. Il rientro in azienda. Le misure per l’ingresso in azienda e la gestione del lavoro nella legislazione nazionale e della Regione Toscana
La fase 2
Il rientro in azienda. Le misure per l’ingresso in azienda e la gestione del lavoro nella legislazione nazionale e della Regione Toscana
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Sommario.
I) Una breve premessa.
II) Il rientro in azienda. Gli obblighi e le sanzioni.
III) Gli obblighi di informazione.
IV) Ingresso in azienda e comportamento dei lavoratori all’interno.
V) La sanificazione dell’azienda,
VI) Le norme di comportamento nei luoghi di lavoro.
VII) Il Protocollo Anti Contagio
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I) Una breve premessa
La legislazione predisposta a livello nazionale con il Decreto del Presidente del Consiglio 26 aprile 2020 e della regione Toscana con l’Ordinanza n. 48 del 2020 relativa alle misure per la riapertura delle attività produttive e commerciali che era parzialmente difforme è stata resa più armonica di quanto accadeva con il DPCM 10 aprile 2020 e l’Ordinanza n. 38/2020.
E’ d’altro canto evidente che trattandosi di una legislazione emergenziale (e torrentizia), è probabile la verificazione di contrasti e punti di attrito tra la disciplina nazionale e quella regionale.
E’ sin da subito necessario mettere in evidenza che il DPCM impone una normativa da considerare quale livello minimo possibile per la protezione dall’infezione e che regole più rigide potranno essere emesse sia a livello statale che regionale per assicurare livelli più alti di protezione e il dettato normativo andrà osservato con il massimo scrupolo.
L’emergenza Covid ha avuto un impatto molto pesante sulla già claudicante economia italiana e le settimane di “lock-down” sono state un fenomeno gravissimo che il Paese non può affrontare nuovamente; è dunque essenziale che l’epidemia venga contenuta e questo è possibile solo attraverso comportamenti responsabili dei lavoratori e dei cittadini tutti.
Le norme per il contenimento dell’infezione, quindi, dovranno essere un codice comportamentale con il quale convivere nel quotidiano e da osservare scrupolosamente.
II) Il rientro in azienda. Gli obblighi e le sanzioni.
Ancora oggi sono diverse le attività che non hanno la possibilità di riaprire i battenti, pur dopo l’inizio formale della cosiddetta fase due, che ha portato al lavoro circa 4 milioni di persone a partire dal 4 maggio 2020.
Le attività che erano rimaste aperte nel corso dell’emergenza e quelle che riaprono da 4 maggio 2020, dunque, hanno l’obbligo di rispettare i dettami di cui all’articolo 2 del DPCM 26 aprile 2020 (d’ora in avanti anche DPCM) e, in particolare, dell’allegato 6, che riprende i contenuti dell’accordo raggiunto tra Governo e Parti sociali il giorno 24 aprile 2020.
La violazione di tali misure, ai sensi dell’articolo 2 comma 6 del DPCM, comporta la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.
In primo luogo è da chiedersi se la sospensione in questione sia sempre applicabile e se sia o meno l’unica conseguenza che si possa verificare in caso di mancata attuazione dei protocolli di sicurezza.
La sospensione dell’attività pare infatti essere in contrasto con l’interesse alla prosecuzione che si ha quando l’azienda svolga un’attività di pubblico interesse.
In questi casi, infatti, non avrebbe senso la sanzione della sospensione dell’attività che è continuata addirittura durante la fase di lock-down proprio in considerazione della sua delicatezza e necessità.
E’ possibile dunque che il Prefetto, una volta accertate le violazioni del DPCM 26 aprile 2020, possa imporre non la sospensione ma la prosecuzione dell’attività aziendale attraverso specifiche modalità, stabilite interfacciandosi con le Unità sanitarie locali competenti.
Essendovi un tempo di tre giorni una volta identificata la violazione per poter mettere nuovamente l’azienda in regola, è necessario immaginare che, immediatamente e comunque non oltre tale termine, l’azienda predisponga una regolamentazione interna ed un insieme di misure conformi alla legge per poi sottoporla al Prefetto ed all’Azienda sanitaria competente per approvazione ai sensi dell’articolo 2 comma 7 del DPCM in commento.
A parte questo caso specifico, relativo ad esempio ad aziende che producono farmaci, o a quelle che gestiscono servizi imprescindibili per il cittadino (energia elettrica, gas ecc…) o infrastrutture fondamentali (strade ed autostrade ecc.), vi è da chiedersi se altre possano essere le sanzioni non in sostituzione ma in aggiunta alla sospensione dell’attività.
E’ possibile che in caso di violazione della presente normativa siano anche irrogate le sanzioni previste dall’articolo 4 del d.l. 19/2020. Tale disciplina sanzionatoria è infatti tesa alla protezione delle misure di contenimento dell’articolo 1 comma 2 dello stesso decreto emesse in forza ed in esecuzione del d.l. del 23 febbraio 2020.
Ebbene, le norme del DPCM in commento contengono esattamente questo: misure destinate a contenere l’epidemia.
L’articolo 1 comma 2 del d.l. 25 marzo 2020 n. 19 consente l’adozione di diverse misure limitative anche delle attività economiche produttive e commerciali in generale e le regole del DPCM rientrano dunque in quelle di cui all’articolo 1 comma 2 (lettera z e lettera gg) del d.l. 19/2020; il DPCM in commento richiama infatti il d.l. 25 marzo 2020 nelle sue premesse.
Quanto alla violazione della disciplina prevista nell’Ordinanza n. 48/2020 della Regione Toscana è espressamente previsto che il mancato rispetto delle misure ivi contenute sia sanzionato ai sensi dell’articolo 4 d.l. 19/2020.
L’azienda che si trovasse a violare le regole in commento vedrebbe dunque non solo la sospensione dell’attività (ad eccezione di quanto sopra detto), limitata ai casi più gravi, ma anche l’applicazione di sanzioni amministrative.
Si ritiene inoltre che queste ultime si applichino non solo al datore di lavoro ma anche ai suoi dipendenti che si trovino deliberatamente a violare la disciplina di contenimento, fatta salva, ovviamente, l’applicazione di ulteriori conseguenze anche gravi quali, ad esempio, la normale disciplina sul risarcimento del danno (responsabilità civile) o quella in tema di licenziamento per violazione dei doveri derivanti dal contratto di lavoro.
Come si vedrà più oltre, infatti, quando il lavoratore deliberatamente non osservi la disciplina di legge, favorendo l’insorgenza di un focolaio metterà in pericolo sia l’attività del datore di lavoro che potrà essere costretto a sospendere l’attività, sia la salute dei colleghi.
Ciò detto occorre anche chiedersi cosa si intende per inadempimento e mancata osservanza di dette misure di contenimento.
Il DPCM afferma testualmente che per la sospensione dell’attività occorre che la mancata attuazione dei protocolli non assicuri adeguati livelli di protezione.
Non tutte le violazioni del protocollo comportano la sospensione dell’attività, ma solo quelle che causano un abbassamento del livello di efficacia delle misure tale per cui la protezione cessi di essere adeguata; per gli altri casi avremo solamente l’applicazione delle sanzioni del d.l. 19/2020.
A parte la difficoltà di comprendere nello specifico quali violazioni possano rendere non adeguati i livelli di protezione, occorre considerare che gli obblighi imposti dal DPCM e dall’Ordinanza n. 48 sono due: il datore deve predisporre una serie di regole consone al contenimento e dovrà farle osservare con diligenza.
Nella sostanza occorrerà una serie di regole accortamente disegnate sulla specifica realtà aziendale, valutate con il Medico competente applicando in modo specifico il DPCM (e l’Ordinanza n. 48/2020 della Regione Toscana) ed un sistema di sorveglianza che faccia in modo che i lavoratori ne osservino i dettami, sia nei punti in cui sono assicurati loro dei diritti sia quando sono loro imposti degli specifici obblighi e regole di comportamento.
Nella predisposizione delle normative in questione sarà necessario interessare più livelli: il datore di lavoro dovrà curare la redazione di un codice interno coinvolgendo anche il medico competente.
Tale aspetto è preso in considerazione anche dalla Circolare n. 14.915 del 29 aprile 2020 del Ministero della Salute che si esprime espressamente come segue:
Ai sensi dell’articolo 2 comma 1 lettera m) del D.lgs. 81/2008 la “sorveglianza sanitaria” è definita come “insieme degli atti medici, finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa” e rientra nell’attività “svolta secondo i principi della medicina del lavoro e del Codice etico della Commissione Internazionale di salute occupazionale (ICOH)” (art. 39 c. 1 D.lgs. 81/08 e s.m.i.) dal medico competente, così come individuato all’art. 38 comma 1 del citato decreto.
Nel contesto generale di riavvio della attività lavorative in fase pandemica, è opportuno che il medico competente che, ai sensi dell’art. 25 del citato D.lgs. 81/2008 ha, tra i suoi obblighi, quello di collaborare con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, supporti il datore di lavoro nella attuazione delle misure di prevenzione e protezione già richiamate nel menzionato “Protocollo”.
È fondamentale quindi che le diverse tipologie di misure di contenimento del rischio siano il più possibile contestualizzate alle differenti tipologie di attività produttive ed alle singole realtà aziendali in cui si opera; in tale contesto, la collaborazione attiva e integrata del medico competente, con il datore di lavoro e con le RLS/RLST, contribuirà al miglioramento continuo dell’efficacia delle misure stesse.
III) Gli obblighi di informazione
Il DPCM 26 aprile 2020 e l’allegato 6 da esso richiamato impongono che ai lavoratori sia data una corretta informazione sulle regole comportamentali da tenere in azienda attraverso la predisposizione di adeguata segnalazione con cartelli in azienda e all’esterno e la consegna di dépliant informativi.
Deve in particolare essere fatta chiarezza sui casi in cui è impossibile accedere ai luoghi di lavoro e le informazioni che i lavoratori stessi devono dare come ad esempio l’insorgenza di sintomi influenzali durante l’orario di lavoro, contatto con persone infette nei 14 giorni precedenti, provenienza da zone a rischio.
Occorrerà anche informare i lavoratori e predisporre gli idonei strumenti a protezione di questo diritto, della possibilità di usufruire di un ambiente idoneo dove i dipendenti possano sottoporsi a screening sierologico.
A tal proposito l’Ordinanza n. 48/20 espressamente prevede che il datore garantisca spazi nel rispetto della normativa sulla privacy, all’interno dei quali i soggetti che lo richiedono, possano sottoporsi agli esami sierologici. A tal proposito la Regione Toscana ha emesso due specifiche ordinanze (la n. 23 e 39 del 2020, in parte modificate dalla n. 54 del 6 maggio 2020) che il datore deve conoscere ed implementare per assicurare ai propri dipendenti l’esercizio di tale diritto.
L’informativa in oggetto, da dare anche attraverso idonei cartelli o messaggi visibili all’ingresso utilizzando anche ad esempio la bacheca aziendale, o/e dépliant informativi deve avere ad oggetto l’obbligo di rimanere al proprio domicilio in presenza di febbre (oltre 37.5°) o altri sintomi influenzali e che dunque non sarà consentito accedere al luogo di lavoro e che occorre chiamare immediatamente il medico di famiglia nonché l’Autorità sanitaria ai numeri disponibili per questo tipo di segnalazione.
Del pari è obbligo informare della necessità di non accedere quando si sia stati in contatto con un infetto o si provenga da zone a rischio.
In questo caso sarà anche opportuno informare di non recarsi al pronto soccorso ospedaliero (che è se del caso controproducente) e di rientrare a casa mettendosi per quanto possibile in autoisolamento.
Occorrerà informare dell’obbligo di dichiarare tempestivamente al datore di lavoro (o al suo delegato) rispettando le regole della distanza e della precauzione, l’insorgenza di situazioni di pericolo anche successivamente all’ingresso in azienda.
Si dovrà informare dell’obbligo di rispettare le regole delle Autorità e del datore di lavoro una volta all’interno del compendio aziendale, mantenere la distanza di sicurezza, osservare le regole di igiene delle mani e tenere comportamenti corretti sul piano dell’igiene.
L’azienda fornisce una informazione adeguata sulla base delle mansioni e dei contesti lavorativi, con particolare riferimento al complesso delle misure adottate cui il personale deve attenersi in particolare sul corretto utilizzo dei DPI per contribuire a prevenire ogni possibile forma di diffusione di contagio.
IV) Ingresso in azienda e comportamento dei lavoratori
L’ingresso in azienda non può avvenire quando il dipendente sia febbricitante, intendendosi con tale termine colui che abbia una temperatura corporea di 37,5 gradi.
In questo senso il DPCM allegato 6 paragrafo 2 e l’Ordinanza n. 48 della Regione toscana vanno lette in modo integrato perché il secondo provvedimento contrariamente al primo, prende in considerazione anche i sintomi diversi dalla temperatura corporea: “in presenza di febbre, e comunque quando la temperatura corporea supera 37,5°, o di altri sintomi influenzali”.
Quando il dipendente abbia la febbre o sintomi influenzali non deve recarsi al lavoro ma avvertire il medico di famiglia senza recarsi al pronto soccorso.
Quando egli sia talmente incauto da recarsi comunque al lavoro oppure i sintomi si presentino mentre si trova in azienda il DPCM prevede una precisa normativa da applicare nel caso concreto della quale, come sopra detto, deve essere anche data informazione.
Ai sensi del DPCM e dell’Ordinanza n. 48/2020 della Regione Toscana, il personale potrà essere sottoposto al controllo della temperatura prima dell’accesso al luogo di lavoro.
Nonostante il tenore letterale della norma è ovvio che tale controllo dovrà avvenire all’interno dell’azienda stessa, in un ambiente quanto più possibile prossimo al luogo d’ingresso per evitare che i dipendenti percorrano tutto lo stabile prima di potersi recare nel luogo di misurazione e che si tratti di luogo idoneo e debitamente attrezzato per rispettare le esigenze sanitarie e di privacy personale.
Potrà farsi riferimento alle indicazioni fornite dal Ministero della Salute con la Circolare 14.915 del 29 aprile 2020 che si riferisce all’infermerie aziendale (se esistente) o comunque ambiente idoneo di congrua muratura, con adeguato ricambio d’aria che consenta i limiti del distanziamento sociale ed un’adeguata igiene delle mani.
La cosa ovviamente varierà a seconda dell’azienda e della sua grandezza, ma non c’è dubbio che soprattutto per le piccole e micro imprese, tale rilievo, unitamente ai profili privacy, possa costituire un problema.
Tale prassi è consentita (sia dal DPCM che dall’ordinanza 48) solamente per i dipendenti e non è consentito imporre a terzi che pure accedono ai luoghi aziendali tale misurazione che dunque, in teoria potrebbero rifiutarsi. Tale mancanza è a mio modo di vedere un problema superabile con un po’ di buonsenso da parte di questi soggetti (collaboratori, consulenti, fornitori).
I testi utilizzano il termine “potere”, il che significa due cose, che il datore di lavoro non è obbligato a farlo e che qualora egli decidesse in tal senso al lavoratore non è consentito sottrarsi.
La prassi andrà effettuata attraverso un delegato del datore il quale dovrà avere un inquadramento idoneo, incarico stilato in modo conveniente, apposite istruzioni da seguire e che dovrà procedere in modo da rispettare la privacy e la dignità del lavoratore.
Quando questi venisse trovato febbricitante non potrà essergli consentito di accedere alla postazione di lavoro ma dovrà essere dotato di mascherina (qualora egli ancora non la indossi) o di una mascherina chirurgica qualora quella indossata fosse non idonea.
Alternativamente potrà optarsi per un’autodichiarazione del dipendente, da trattare e gestire secondo le norme previste per i trattamenti di dati sensibili che dovrà essere anonima e far rilevare e conservare solamente data ed ora del rilievo.
Perché tale dichiarazione abbia un senso, ovviamente, dovrà essere messo a disposizione dei lavoratori un termometro, e si dovranno dare elementari informazioni su come effettuare tale misurazione. Occorrerà predisporre le cautele minime di privacy per l’esecuzione di tale operazione in un luogo specificamente deputato a questo.
Sarà opportuno poi indicare i comportamenti da seguire quando venga rilevato il superamento della temperatura dei 37,5 gradi.
Ad ogni modo, quando i sintomi influenzali si verifichino il dipendete non dovrà ovviamente recarsi al pronto soccorso, sia perché tale struttura è deputata a trattamenti emergenziali, sia perché avere la febbre (o altri sintomi influenzali) non significa avere il Covid, sia perché tale comportamento faciliterebbe e non impedirebbe la diffusione del contagio.
La gestione della persona sintomatica, sia che essa venga trovata tale in sede di esame della temperatura, sia che essa manifesti i sintomi autonomamente viene regolamentata dal punto 11 dell’allegato 6 del DPCM.
Il dipendente dovrà essere isolato e dovrà darsi immediatamente conto di quanto precede all’Autorità Sanitaria. Il datore deve essere informato immediatamente direttamente o indirettamente per tramite del medico competente (Circolare del Ministero della Salute 14915/2020).
E’ inoltre opportuno, quando possibile, avvertire anche il medico di famiglia del sintomatico il quale ha a sua disposizione una mail dedicata alle segnalazioni dei casi sospetti: mmg.cov2@uslnordovest.toscana.it.
Quando un dipendente sia sintomatico è poi necessario porsi il problema di quali informazioni condividere con gli altri dipendenti. In particolare se sia opportuno o meno comunicare agli altri l’identità della persona.
E’ ovvio che il conoscere con precisione chi sia il sintomatico consentirà agli altri dipendenti di rendersi conto con maggior precisione sui rischi effettivamente corsi nell’interrelazione con questi. Ciò nonostante è preferibile optare per la risposta negativa comunicando solo che in azienda si è verificata la presenza di un sintomatico senza comunicarne il nominativo.
L’osservanza scrupolosa delle regole aziendali e legali metterà al sicuro i dipendenti dal contagio, unita all’allontanamento dal lavoro del sintomatico, ai percorsi di profilassi attuati dall’Autorità sanitaria che verrà immediatamente coinvolta, alla completa sanificazione degli ambienti che verrà effettuata prontamente dal datore di lavoro solamente effettuata la quale sarà consentito ai lavoratori tornare nei luoghi.
Nel caso di lavoratore positivo al Covid-19 ovvero asintomatico con tampone o sierologico che da esito positivo e sintomatico poi rivelatosi positivo andranno tenute le medesime cautele. Il caso del sintomatico allontanato poi rivelatosi positivo è stato già visto; l’asintomatico positivo non rientra, per così dire, nelle cure del datore di lavoro in quanto quando l’esito dell’esame effettuato fosse positivo egli dovrà rimanere isolato al proprio domicilio.
Quando il lavoratore sintomatico venga allontanato dal luogo di lavoro ma non abbia il covid conclamato, potrà tornare al lavoro senza produrre il tampone negativo contrariamente al conclamato ed il datore di lavoro potrà solamente imporre il rilievo della temperatura (o dei sintomi) ma non imporre altre misure in quanto non previste.
Il malato guarito che ritorna al lavoro, infatti, deve presentare il tampone negativo e deve effettuare la visita medica prevista dall’art.41, c. 2 lett. e-ter del D.lgs. 81/08 e s.m.i al fine di verificare l’idoneità alla mansione specifica, anche per valutare specifici profili di rischiosità in ambito lavorativo, indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia.
Il medico certificatore deve inoltre predisporre ed inviare telematicamente all’Inail il certificato medico d’infortunio mentre il datore di lavoro ha obbligo di denuncia o comunicazione d’infortunio quando viene a conoscenza del contagio occorso al lavoratore che, in tutti i sensi è considerato come infortunio sul lavoro quando il Covid-19 sia contratto in azienda. (circolare Inail del 13 aprile 2020).
Il DPCM prende in considerazione anche l’ipotesi in cui risulti positivo un dipendente di un appaltatore terzo che opera nello stesso sito produttivo, come avviene in caso di appalto dei servizi di pulizia, guardiania o ristoro.
Quando si trovi che uno dei dipendenti di questi sia positivo al tampone l’appaltatore dovrà informare il committente ed entrambi dovranno collaborare con l’autorità sanitaria fornendo elementi utili all’individuazione di eventuali contatti stretti.
In questi casi sarà inoltre opportuno avvertire i dipendenti del fatto che in azienda è stato rinvenuto un contagiato senza rivelarne comunque i dati personali.
V) La sanificazione dell’azienda
E’ previsto sia dal DPCM che dall’Ordinanza n. 48 che l’azienda venga sanificata e che le operazioni di pulizia siano poste in essere costantemente. Il paragrafo n. 4 dell’allegato 6 del DPCM impone pulizia giornaliera e sanificazione periodica.
In caso di normali procedure di pulizia e sanificazione il DPCM è meno specifico dell’Ordinanza n. 48 in quanto pretende la pulizia a fine turno e sanificazione periodica dei supporti utilizzati dal dipendente ma impone l’applicazione delle misure previste dalla Circolare n. 5443 del 22 febbraio 2020 del Ministero della Salute non solo quanto vi sia un caso conclamato in azienda, ma anche quando vi sia un caso sospetto, sia delle postazioni private che delle aree comuni.
Quanto precede significa che tali sanificazioni andranno poste in essere in tutti i casi in cui un dipendente abbia mostrato sintomi da infezione.
E dunque, siano essi comuni o di sua esclusiva pertinenza, gli ambienti dove un soggetto (conclamato/sospettato) abbia avuto permanenza, a causa della possibile sopravvivenza del virus nell’ambiente per diverso tempo devono essere sottoposti a completa pulizia con acqua e detergenti comuni prima di essere nuovamente utilizzati.
Dopo avere effettuato le comuni operazioni di pulizia per la decontaminazione, viene indicato l’uso di ipoclorito di sodio 0,1%. Per le superfici che possono essere danneggiate dall’ipoclorito di sodio, la circolare raccomanda l’utilizzo di etanolo al 70% dopo avere proceduto a detergere con un detergente neutro.
E’ necessario procedere alla ventilazione degli ambienti durante le operazioni di pulizia con prodotti chimici.
Tutte le operazioni di pulizia devono essere condotte da personale che indossa DPI (filtrante respiratorio FFP2 o FFP3, protezione facciale, guanti monouso, camice monouso impermeabile a maniche lunghe) e, dopo l’uso, i DPI monouso vanno smaltiti come materiale potenzialmente infetto.
Vanno pulite con particolare attenzione tutte le superfici toccate di frequente, quali superfici di muri, porte e finestre, superfici dei servizi igienici e sanitari.
Ove presente la biancheria da letto, le tende e altri materiali di tessuto devono essere sottoposti a un ciclo di lavaggio con acqua calda a 90°C e detergente.
Qualora non sia possibile il lavaggio a 90°C per le caratteristiche del tessuto, si procederà ad un lavaggio normale addizionato con candeggina o prodotti a base di ipoclorito di sodio.
Per le operazioni di comune pulizia e sanificazione degli ambienti di lavoro l’Ordinanza n. 48/2020 della Regione Toscana, applicabile nel caso di non presenza di infetti conclamati o sospetti, impone la sanificazione degli ambienti almeno una volta al giorno e comunque in funzione dei turni di lavoro, garantendo quanto più possibile il ricambio dell’aria.
Mentre per le operazioni di comune ed ordinaria pulizia non sono previste discipline specifiche, la sanificazione sarà effettuata con prodotti contenenti etanolo a concentrazioni pari al 70% ovvero i prodotti a base di cloro a una concentrazione di 0,1% e 0,5% di cloro attivo (candeggina) o ad altri prodotti disinfettanti ad attività̀ virucida, concentrandosi in particolare sulle superfici toccate più̀ di frequente perché ivi la carica virologica può ovviamente essere presente in quantità maggiore.
Si faceva presente l’opportunità che durante la vigenza della precedente regolamentazione, il datore di lavoro predisponesse una sorta di regolamento della sanificazione aziendale, in modo da dare conto all’Autorità, in caso di sopralluogo, del tipo di misure poste in essere.
Non può che confermarsi quanto precede se consideriamo che L’ordinanza n. 48 impone che le sanificazioni e le relative metodologie costituiscano adempimenti devono essere ordinariamente registrati da parte del datore di lavoro o suo delegato, su supporto cartaceo o informatico, con auto-dichiarazione.
VI) Le norme di comportamento nei luoghi di lavoro
Secondo il DPCM è fatto obbligo ai dipendenti di adottare le precauzioni igieniche di base in particolare quelle relative alla pulizia delle mani.
L’azienda è tenuta (ma questo avveniva già secondo il DPCM 10 aprile 2020 e l’Ordinanza n. 38/2020 della Regione Toscana) a mettere a disposizione idonei mezzi detergenti per le mani.
E’ raccomandata inoltre la frequente pulizia delle mani con acqua e sapone. I detergenti per le mani di cui sopra devono essere accessibili a tutti i lavoratori anche grazie a specifici dispenser collocati in punti facilmente individuabili.
E’ necessario che i lavoratori adottino dispositivi di protezione individuali ovvero in primo luogo mascherine, che dovranno essere utilizzate in conformità a quanto previsto dall’Organizzazione mondiale della Sanità.
La distanza interpersonale è molto importante e la misura minima è quella di un metro anche se l’Ordinanza n. 48/2020 della Regione Toscana, ritiene consigliabile la distanza di almeno 1 entro ed 80 cm, ovvero 6 piedi.
Qualora il lavoro imponga una distanza interpersonale minore di un metro e non siano possibili altre soluzioni organizzative è comunque necessario l’uso delle mascherine, e altri dispositivi di protezione (guanti, occhiali, tute, cuffie, camici, ecc…) conformi alle disposizioni delle autorità scientifiche e sanitarie.
Sono imposte anche alcune norme relative alla gestione degli spazi comuni il cui accesso deve essere contingentato, con la previsione di una ventilazione continua dei locali, di un tempo ridotto di sosta all’interno di tali spazi e con il mantenimento della distanza di sicurezza di 1 metro tra le persone che li occupano.
In particolare, differenziandosi in parte dal DPCM 26 aprile 2020, l’Ordinanza n. 48 della Regione Toscana prevede che quando presente, il servizio mensa venga organizzato con la sanificazione dei tavoli dopo ogni singolo pasto. Laddove le condizioni igieniche e di spazio lo consentono, al fine di evitare assembramenti, è possibile il consumo dei pasti anche presso la singola postazione di lavoro.
Ove presenti occorre provvedere alla organizzazione e alla sanificazione degli spogliatoi per lasciare nella disponibilità dei lavoratori luoghi per il deposito degli indumenti da lavoro e garantire loro idonee condizioni igieniche sanitarie.
Secondo l’Ordinanza n. 48/2020 della Regione Toscana è necessario prestare anche attenzione agli impianti di condizionamento dell’aria, cosa che nelle prossime settimane sarà di particolare importanza a causa dell’innalzamento delle temperature.
Laddove infatti siano presenti impianti di areazione deve essere garantita la sanificazione periodica, secondo le indicazioni contenute nel “Rapporto ISS COVID-19 n. 5/2020. Indicazioni ad interim per la prevenzione e gestione degli ambienti indoor in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus SARS-CoV-2.”; altrimenti ne deve essere previsto lo spegnimento, garantendo la massima ventilazione dei locali;
Anche nella presente fase di ripresa del lavoro, è fatta particolare attenzione all’organizzazione aziendale, sia per quanto riguarda la turnazione e la rimodulazione dei livelli produttivi che per quanto riguarda trasferte, riunioni e Smart working.
Facendo riferimento al DPCM 11 marzo 2020, punto 7, limitatamente al periodo della emergenza dovuta al COVID-19, le imprese potranno, avendo a riferimento quanto previsto dai CCNL e favorendo così le intese con le rappresentanze sindacali aziendali:
- disporre la chiusura di tutti i reparti diversi dalla produzione o, comunque, di quelli dei quali è possibile il funzionamento mediante il ricorso allo Smart work, o comunque a distanza;
- procedere ad una rimodulazione dei livelli produttivi;
- assicurare un piano di turnazione dei dipendenti dedicati alla produzione con l’obiettivo di diminuire al massimo i contatti e di creare gruppi autonomi, distinti e riconoscibili;
- utilizzare lo Smart working per tutte quelle attività che possono essere svolte presso il domicilio o a distanza nel caso vengano utilizzati ammortizzatori sociali, anche in deroga, valutare sempre la possibilità di assicurare che gli stessi riguardino l’intera compagine aziendale, se del caso anche con opportune rotazioni;
- utilizzare in via prioritaria gli ammortizzatori sociali disponibili nel rispetto degli istituti contrattuali generalmente finalizzati a consentire l’astensione dal lavoro senza perdita della retribuzione.
Sono inoltre sospese e annullate tutte le trasferte/viaggi di lavoro nazionali e internazionali, anche se già concordate o organizzate.
Il lavoro a distanza continua ad essere favorito anche nella fase di progressiva riattivazione del lavoro in quanto utile e modulabile strumento di prevenzione, ferma la necessità che il datore di lavoro garantisca adeguate condizioni di supporto al lavoratore e alla sua attività (assistenza nell’uso delle apparecchiature, modulazione dei tempi di lavoro e delle pause).
E’ necessario il rispetto del distanziamento sociale, anche attraverso una rimodulazione degli spazi di lavoro, compatibilmente con la natura dei processi produttivi e degli spazi aziendali.
Nel caso di lavoratori che non necessitano di particolari strumenti e/o attrezzature di lavoro e che possono lavorare da soli, gli stessi potrebbero, per il periodo transitorio, essere posizionati in spazi ricavati ad esempio da uffici inutilizzati, sale riunioni.
Per gli ambienti dove operano più lavoratori contemporaneamente potranno essere trovate soluzioni innovative come, ad esempio, il riposizionamento delle postazioni di lavoro adeguatamente distanziate tra loro ovvero, analoghe soluzioni.
L’articolazione del lavoro potrà essere ridefinita con orari differenziati che favoriscano il distanziamento sociale riducendo il numero di presenze in contemporanea nel luogo di lavoro e prevenendo assembramenti all’entrata e all’uscita con flessibilità di orari.
E’ essenziale evitare aggregazioni sociali anche in relazione agli spostamenti per raggiungere il posto di lavoro e rientrare a casa (commuting), con particolare riferimento all’utilizzo del trasporto pubblico. Per tale motivo andrebbero incentivate forme di trasporto verso il luogo di lavoro con adeguato distanziamento fra i viaggiatori e favorendo l’uso del mezzo privato o di navette.
Viene espressamente favorita la differenziazione degli ingressi e delle uscite aziendali per evitare assembramenti, anche perché in tali occasioni possono aversi socializzazioni che, in questa fase, sarebbero controproducenti.
Ma gli stessi spostamenti all’interno del sito aziendale devono essere limitati al minimo indispensabile e nel rispetto delle indicazioni aziendali tanto è vero che non sono consentite le riunioni in presenza a meno che esse non siano necessarie ed urgenti e non sia possibile il collegamento in video. In questi casi, comunque, dovranno parteciparvi solo coloro la cui presenza sia necessaria, garantendo il distanziamento interpersonale e un’adeguata pulizia/areazione dei locali.
Sono infine sospesi e annullati tutti gli eventi interni e ogni attività di formazione in modalità in aula, anche obbligatoria, anche se già organizzati; è comunque possibile, qualora l’organizzazione aziendale lo permetta, effettuare la formazione a distanza, anche per i lavoratori in smart work
VII) Il Protocollo Anti Contagio (PIC)
Ai sensi dell’Ordinanza n. 48 i datori di lavoro hanno l’obbligo di redigere un protocollo di sicurezza anti-contagio che preveda l’impegno all’attuazione delle misure descritte al fine di garantire la sicurezza e la tutela della salute e dei lavoratori.
L’adozione del protocollo anti-contagio da parte del datore di lavoro è necessaria per lo svolgimento dell’attività il che significa che si tratta di una misura senza la quale avremo la potenziale sospensione.
Tale prassi prende il posto di quanto a suo tempo stabilito dall’Ordinanza n. 38 che prevedeva la compilazione di un modulo cartaceo da conservare in azienda.
Adesso è invece previsto l’utilizzo di uno specifico sito: https://servizi.toscana.it/presentazioneFormulari, a partire dal 6 maggio 2020.
Per tutte le attività aperte alla data del 18 aprile 2020, per le quali non sia stato ancora trasmesso il protocollo secondo le disposizioni dell’ordinanza 38/2020, dovrà essere compilato il format on line all’indirizzo sopra riportato, entro la data del 18 maggio 2020; per le altre attività la compilazione del protocollo dovrà avvenire entro 30 giorni dalla riapertura.
Coloro che hanno già inviato il protocollo secondo le disposizioni dell’ordinanza 38/2020, non devono compilare il format on line a meno che non si riscontrino differenze sostanziali.
I servizi PISLL della Regione Toscana, nel periodo di emergenza sanitaria Covid-19, verificano l’adozione da parte dei datori di lavoro delle procedure di sicurezza anti-contagio, in conformità alle disposizioni in commento.
Il protocollo anti-contagio dovrà essere stampato e sempre reso disponibile presso l’attività per i controlli previsti dalla legge.
Tale protocollo, appunto compilato on line comporta la necessità di un certificato di autenticazione che risponda ai requisiti della Carta Nazionale dei Servizi o l’utilizzazione di credenziali SPID.
Il protocollo informatico utilizzato è quello del manuale d’uso del sistema telematico di accettazione Regionale delle pratiche Suap, il c.d. STAR. La pratica potrà essere presentata dallo stesso soggetto titolare nella persona del legale rappresentante come anche da un soggetto diverso, il Presentatore il quale potrà essere delegato all’uopo attraverso una normale procura ai sensi degli articoli 1392 e 1393 c.c.